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Il Piano Didattico Personalizzato

Tra tutele del bambino e impegni della famiglia

La legge 170 del 2010 ha introdotto la categoria degli studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento e ha avviato un processo di ridefinizione delle tipologie di alunni/e con modalità di apprendimento specifiche che è sfociato, nel 2012, con l’assunzione – anche in Italia – del costrutto di BES (Bisogni Educativi Speciali). Al suo interno confluiscono una pluralità di specificità: svantaggio socio-economico dello studente,  i disturbi dell’apprendimento, il disturbo da deficit di Attenzione/Iperattività ed altre situazioni di necessità dell’alunno/a.

 

 

Il D.M. del 12 luglio 2011, la successiva Direttiva del 27 dicembre 2012 e la circolare MIUR dell’8 marzo 2013 sanciscono le disposizioni inerenti gli studenti con DSA per ciò che concerne l’adozione di strumenti compensativi e misure dispensative.

 

 

L’articolo 4 del D.M. del 2011 richiama le Istituzioni scolastiche ad attuare i necessari interventi pedagogico-didattici, attivando percorsi di didattica individualizzata e personalizzata, assicurando l’impiego degli opportuni strumenti compensativi.

 

Il comma 5, invece, delinea la necessità di adottare misure dispensative, che si propongono di evitare situazioni di affaticamento e disagio in compiti direttamente coinvolti dal disturbo, senza peraltro ridurre il livello degli obiettivi di apprendimento.

 

L’articolo 6 precisa che la valutazione scolastica degli alunni/e con DSA deve essere coerente con gli interventi pedagogico-didattici delineati dal PDP. Le Istituzioni scolastiche devono adottare e applicare misure che determinino le condizioni ottimali per l’espletamento della prestazione da valutare - relativamente ai tempi di effettuazione e alle modalità di strutturazione delle prove – riservando particolare attenzione alla padronanza dei contenuti disciplinari, a prescindere dagli aspetti legati all’abilità deficitaria.

 

 

Sono varie, quindi, le disposizioni normative che delineano gli obblighi delle istituzioni scolastiche nei confronti di bambini/e con bisogni educativi speciali.

 

Non sono mancate sentenze e ordinanze che hanno deliberato in merito alla inefficace applicazione della direttiva MIUR sopracitata (assenza di accorgimenti didattici, carenza di individualizzazione dell’insegnamento, non applicazione del P.D.P.), annullando anche alcuni giudizi di non ammissione alla classe successiva.

 

 

Diverse sentenze ribadiscono più volte come la scuola debba elaborare e realizzare percorsi formativi personalizzati, che tengano conto delle esigenze e delle potenzialità di ciascun alunno; come la valutazione e la verifica degli apprendimenti – comprese quelle per l’esame conclusivo dei cicli – debbano tenere conto delle specifiche situazioni soggettive degli alunni/e con BES.

 

Chiunque abbia a cuore il benessere dei propri alunni/e e figli/e non può che concordare con quanto delineato dalla normativa in merito di DSA e BES e desiderare che si vigili sulla sua attuazione o – in caso contrario – si sanzioni la mancata applicazione della legge.

 

Da docente, però – forse qualcuno potrà pensare che io sia “di parte” – c’è un altro aspetto che mi sta altrettanto a cuore. Cosa compete alle famiglie? Nel momento in cui la famiglia firma il PDP, è per mera “presa visione” degli interventi che la scuola dovrà attuare nei confronti del figlio, o c’è dell’altro? Ovviamente tutti noi docenti sappiamo che c’è, o almeno ci dovrebbe essere, di più.

 

 

Nel PDP redatto dalla scuola in cui lavoro come docente (e referente DSA) c’è esplicitamente scritto che: SARA’ COMPITO DELLE INSEGNANTI A SCUOLA E DEI GENITORI A CASA, ASSICURARSI CHE L’ALUNNO UTILIZZI COSTANTEMENTE E NELLE MODALITA’ CORRETTE GLI STRUMENTI COMPENSATIVI delineati dal PDP.

 

La famiglia si impegna a seguire il figlio/a nel percorso di rinforzo delle abilità carenti; a sostenerlo nell’adozione degli strumenti compensativi (e ciò significa, soprattutto, imparare ad usarli, cosa non così semplice, basti pensare allo scrivere al pc usando la tastiera in modalità dattilografica); a controllare che il materiale utile (tabelle, mappe, testi riadattati etc) consegnato dai docenti sia sempre disponibile all’alunno/a, sia a scuola che a casa.

 

Chiunque lavori nella scuola, purtroppo, converrà con me che sempre più spesso si assiste ad una mancata attenzione e cura delle famiglie sul piano didattico stilato per il proprio figlio/a. Sembra non si abbia ben compreso che il PDP è il punto di partenza su cui lavorare e non un punto di arrivo o l’occasione per demandare alla scuola le iniziative da adottare per far sì che l’alunno/a prosegua il percorso scolastico senza troppa fatica e frustrazione. Lo dice la parola stessa: è un PIANO DIDATTICO, quindi un progetto personalizzato basato sui punti di forza e debolezza di quel bambino/a particolare, la cui attuazione effettiva si può avere soltanto se famiglia, scuola ed eventuali operatori specializzati che lavorano in rete, in sinergia.    

 

 

Per concludere, così come delineato dall’AID (corso “Dislessia Amica”), cosa compete alle famiglie in merito al PIANO DIDATTICO PERSONALIZZATO?

  • Consegnare la diagnosi in segreteria
  • Condividere le linee elaborate dai docenti nel P.D.P.
  • Sostenere la motivazione e l’impegno del bambino/a
  • Controllare il materiale scolastico richiesto
  • Verificare lo svolgimento dei compiti
  • Incoraggiare l’acquisizione dell’autonomia

 

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