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D come disturbi, disabilità, difficoltà o differenza?

Quando si parla di Disturbi Specifici di Apprendimento - ma non solo - bisogna considerare che la tipologia delle informazioni diffuse può determinare una rappresentazione positiva o negativa di tale condizione, influenzandone quindi la qualità.

  

In Italia, per definire nello specifico la pluralità di disturbi che ormai vengono indicati con l'acronimo DSA, ci si riferisce alle Raccomandazioni per la pratica clinica definite tramite la Consensus Conference. Nelle linee guida, i DSA sono definiti «Disturbi che interessano specifici domini di abilità (lettura, ortografia, grafia e calcolo) in modo significativo ma circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale».

 

In realtà, la lettera D dell'acronimo DSA, può assumere anche altri significati oltre a Disturbo, a seconda di ciò che vogliamo sottolineare.

 

Sicuramente il riferimento al disturbo - inteso come discrepanza dalla norma - è necessario per il clinico, nel caso della formulazione della diagnosi. Tale termine dovrebbe, quindi, essere utilizzato principalmente nel campo clinico e scientifico per facilitare la comunicazione tra tecnici, con riferimento ai manuali diagnostici DSM-V e ICD 10, e preferibilmente evitato in ambito pedagogico-didattico.

 

La dislessia e i Dsa, per definizione, sono delle disabilità specifiche dell'apprendimento. Se parliamo, quindi, di disabilità, ci riferiamo all'incapacità di stabilizzare una routine di azioni che non possono essere eseguite in modo veloce e accurato con il minimo dispendio energetico. In questo caso, il concetto di disabilità ci aiuta a definire cosa sono i DSA, passo necessario per un loro riconoscimento a livello burocratico. Ha quindi uno scopo di protezione sociale per rivendicare un diritto, al fine di facilitare l’attivazione di aiuti adeguati allo sviluppo (ad esempio, l’applicazione di strumenti didattici compensativi e dispensativi).

 

 Il riconoscimento dei DSA come disabilità, tuttavia, deve essere solo un passaggio per arrivare ad un momento in cui non ci sarà bisogno di etichette, ad una società - e quindi, una scuola - veramente inclusiva.

 

Ecco che allora la dislessia, disortografia, discalculia e disgrafia diventano solo delle difficoltà come tante altre, un aspetto di una persona che ha punti di forza e debolezza, caratteristiche e peculiarità. Dovremmo avere una visione ampia e non definire la persona solo attraverso questo aspetto.

 

È interessante sottolineare come, almeno in parte, la difficoltà è costruita socialmente, messa cioè in evidenza dalle richieste ambientali. Il sistema educativo italiano è ancora basato quasi esclusivamente sulla letto-scrittura. Se vivessimo in una cultura orale, per esempio, i DSA non si manifesterebbero. Va da sé che le difficoltà dei soggetti con DSA possono essere accentuate o attenuate dalle richieste scolastiche. Nella nostra realtà scolastica, infatti, la scrittura e la lettura rappresentano gli strumenti principali per la trasmissione delle conoscenze: i disturbi dell'apprendimento, quindi, non possono che incidere pesantemente sulla vita dello studente. 

 

I DSA, in sintesi, rientrano nelle differenze individuali, tipiche della neurodiversità umana. È il contesto sociale che determina se una neurodiversità è percepita come disabilità o meno. 

 

Nell'insorgenza di un D.S.A, quindi, pur tenendo sempre a mente il fattore di predisposizione - un deficit dei fattori innati che agiscono nei processi di apprendimento - è assodato come agisca l'ambiente, perché la consistenza del disturbo di apprendimento dipende anche da come questo disturbo impatta con l’ambiente. Se l’ambiente è ostile, ogni funzione ha maggiori difficoltà ad esplicarsi. Per esempio, se un individuo deve camminare per 100 metri per raggiungere una meta desiderata, lo sforzo che deve compiere dipenderà dalle caratteristiche della strada e dalle condizioni ambientali in cui si trova a percorrerla. Oltre ai fattori di predisposizione, quindi, i disturbi di apprendimento dipendono dalle condizioni ambientali: più l’ambiente scolastico è sfavorevole, più c’è la possibilità che le difficoltà aumentino.

 

Anche il documento d’intesa delle Raccomandazioni cliniche sui disturbi specifici di apprendimento del 2011 - in risposta a un quesito che domanda se nei DSA è più opportuno parlare di disturbi, disabilità o caratteristiche - tiene a precisare che: "Dislessia, Disortografia e Discalculia possono essere definite caratteristiche dell’individuo, fondate su una base neurobiologica; il termine caratteristica dovrebbe essere utilizzato dal clinico e dall’insegnante in ognuna delle possibili azioni (descrizione del funzionamento nelle diverse aree e organizzazione del piano di aiuti) che favoriscono lo sviluppo delle potenzialità individuali e, con esso, la Qualità della Vita. L’uso del termine caratteristica può favorire nell’individuo, nella sua famiglia e nella Comunità una rappresentazione non stigmatizzante del funzionamento delle persone con difficoltà di apprendimento; il termine caratteristica indirizza, inoltre, verso un approccio pedagogico che valorizza le differenze individuali".

 

Il termine caratteristica ha un’accezione più positiva rispetto al termine disturbo, indirizza verso un approccio pedagogico di valorizzazione delle differenze individuali e rafforza una rappresentazione positiva e non stigmatizzante delle persone con DSA.

 

Come sottolineato all'inizio dell'articolo, i termini utilizzati inducono determinati atteggiamenti e si traducono in comportamenti e norme. Adoperare una terminologia appropriata denota un atteggiamento volto all’inclusione che riflette un primo cambiamento culturale.

 

E' necessario, quindi, spostare l'attenzione dall'asse dei disturbi all'asse delle caratteristiche e dei bisogni di ogni bambino/a o ragazzo/a.