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Dall'ottica dei disturbi all'ottica dei bisogni

L’espressione “alunni con bisogni educativi speciali” compare per la prima volta in Inghilterra, nel 1978, per abolire il termine handicap e per sottolineare la necessità che il sistema educativo del Regno Unito fosse modificato riconoscendo il bisogno di un rinnovamento anche in ambito pedagogico.

 

In Italia è Dario Ianes che concettualizza il Bisogno Educativo Speciale come una macro-categoria che comprende tutte le possibili difficoltà educative e dell'apprendimento degli alunni e in particolare:

 

"Qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e apprenditivo, espressa in un funzionamento (nei vari ambiti della salute secondo il modello ICF dell’Organizzazione mondiale della sanità) problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia, e che necessita di educazione speciale individualizzata"[1].

 

Ianes sostiene che il concetto di speciale normalità e i criteri di classificazione legati all’ICF, che stanno alla base della macro-categoria dei BES, possono essere utili proprio agli insegnanti per fare una fotografia delle diverse difficoltà presenti nella classe e per leggere la complessità dei reali bisogni che si presentano. La scuola, in effetti, dovrebbe saper individuare e affrontare tutte le situazioni di difficoltà, anche quelle non classificate ufficialmente e/o diagnosticate.

 

A tal fine, la Circolare Ministeriale n. 8 , prot. 561, del 6 marzo 2013 sottolinea come ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare bisogni educativi speciali (o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche psicologici, sociali) rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta.

 

Tali alunni/e possono usufruire degli strumenti compensativi e delle misure dispensative previste dalla Legge 170/2010.

 

La sopracitata Circolare evita la netta distinzione tra chi funziona - ed è "in norma" -  e chi non funziona, segnalato da una diagnosi.

 

Quest'ottica, a mio parere, può permetterci addirittura di andare oltre il concetto stesso di Bisogno Educativo Speciale. Nel momento in cui ognuno di noi è portatore di alcune caratteristiche, e quindi necessità che per forza di cose sono specifiche, reca con sé dei bisogni di varia natura. Ecco che allora, il compito di ogni docente diviene quello di dare semplicemente ad ogni alunno/a ciò di cui ha bisogno. Riletto in questa chiave, il bisogno educativo, più che speciale, appare specifico, individuale.

 

Perde di importanza il necessario riferimento ad una classificazione o suddivisione categoriale dei disturbi per mettere in atto la personalizzazione del processo d’insegnamento/apprendimento, cioè un adeguamento dell’insegnamento alle condizioni di apprendimento di ciascun alunno/a. L'inquadramento diagnostico e/o la precisa individuazione delle difficoltà, cadute e punti di forza del soggetto rimangono però ovviamente necessari per poter progettare al meglio il Piano Didattico Personalizzato.

 

L'alunno con D.S.A. è caratterizzato da una specificità e da alcune necessità, così come lo sarà il bambino/a adottato, con genitori che si stanno separando, di recente immigrazione etc...

 

Sappiamo bene quali siano le ricadute emotive e psicologiche di un D.S.A. o una qualche disabilità sull'autostima e senso di autoefficacia di un bambino/a. Vedere che nella classe, non è soltanto lui "con certificazione" ad usufruire delle misure compensative e dispensative di varia natura o a godere di speciali attenzioni,  contribuirà a evitare che si crei quell'alone di specialità negativa che spesso caratterizza questi bambini/e che, appunto, sono etichettati come aventi un disturbo.

 

L’ICF[2], la classificazione internazionale della salute, dell’essere umano e della disabilità, proponendo una lettura del funzionamento della persona in termini bio-psico-sociali, ci permette di integrare il modello medico e quello sociale[3].

 

Nell’ICF i termini di disabilità e handicap sono scomparsi per essere sostituiti da altri termini quali attività e partecipazione sociale.

 

Lo stato di salute è registrato attraverso i qualificatori, ovvero dei codici numerici, che specificano la gravità di una situazione e della disabilità in una categoria specifica, detta dominio, o attraverso il grado in cui un fattore ambientale rappresenta un facilitatore o una barriera. Il funzionamento di un individuo in un dominio specifico è letto come derivante dall'interazione dinamica o da una relazione complessa tra la condizione di salute e i fattori contestuali (ambientali e personali). Questi interagiscono con l'individuo in una condizione di salute e determinano il livello e il grado del suo funzionamento.  

 

I concetti di facilitatore e barriera permettono di descrivere la relazione tra la persona e l'ambiente circostante, e nel caso specifico dell’educazione, tra alunno e scuola. Come già accennato, sono il contesto e la società che determinano la connotazione in negativo o in positivo di una neurocaratteristica.

 

Proprio la centralità assegnata dall’ICF a fattori ambientali e personali, ha determinato la necessità di valutare bene la distinzione tra altri due concetti-base, quello di capacità e quello di performance.

 

La capacità è ciò che un individuo è in grado di compiere senza l’influenza esterna di fattori contestuali, qualunque sia la loro natura (ambientale e/o personale). Quello che, invece, l’individuo mette in atto sotto l’influenza dei fattori contestuali è la sua performance.

 

In un contesto scolastico, una performance supportata da facilitatori sarà costituita da un comportamento maggiormente funzionale, mentre una performance limitata da barriere avrà come risultato un comportamento meno funzionale.

 

I concetti e i principi che caratterizzano l’ICF divengono, in ambito educativo, le linee guida in materia di descrizione, di riflessione e discussione sul tema della disabilità.

 

La lettura della situazione di un bambino deve considerare e integrare le aree del funzionamento e della disabilità rispetto all’ambiente e al contesto educativo in cui è inserito.

 

Per tali motivi, l'ICF è considerato un valido strumento educativo, poiché permette di raccogliere informazioni utili sul funzionamento di un soggetto e di programmare consapevolmente e accuratamente programmazione delle azioni di intervento.

 

Un approccio di questo tipo richiede un intervento inclusivo il quale, come abbiamo visto nel documento dell’ICF, deve:

 

-          guardare alla globalità delle sfere educativa, sociale e politica

 

-          prendere in considerazione tutti gli alunni

 

-          intervenire prima sui contesti e poi sull’individuo

 

-          trasformare la risposta specialistica in ordinaria.

 

[1] Ianes D., Bisogni Educativi  Speciali e inclusione. Valutare le reali necessità e attivare tutte le risorse, Erickson, Trento 2005, p. 29

[2] Organizzazione Mondiale della Sanità, ICF. Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, Erickson, Trento 2002

[3] Il modello medico vede la disabilità come un problema della persona, causato direttamente da malattie, traumi o altre condizioni di salute che necessita assistenza medica. La gestione della disabilità mira alla loro cura oppure all'adattamento ad esse da parte dell'individuo e a un cambiamento comportamentale. Il modello sociale vede la disabilità come un problema creato dalla società e il soggetto che ne è portatore non va gestito ma integrato mediante azioni sociali - cambiamenti ambientali, di atteggiamenti e ideologie - di cui tutta la collettività è responsabile. Ibidem, pag. 23.